A oltre un mese dall’inizio ufficiale dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo viene spontaneo chiedersi come sarà la nostra vita dopo questa fase: tutto tornerà come prima o avremo imparato la lezione?
Chi ci conosce può immaginare che noi di Caresà speriamo in un cambiamento in positivo della nostra società che speriamo, dopo la pandemia, ricominci a fondarsi su valori antichi ma spesso dimenticati negli ultimi decenni: il rispetto per la terra, per le persone e per ogni essere vivente; l’impegno per creare reti di sostegno che non lascino indietro nessuno e una sana economia che metta al centro l’essere umano prima del profitto.
In questa nostra visione siamo in sintonia con Carlo Petrini, il sociologo fondatore dell'associazione Slow Food, che su Gazza Golosa, de La Gazzetta dello Sport del 20 marzo, ha rilasciato una interessante intervista a Daniele Miccione nella quale spiega non solo come sta vivendo la sua quarantena ma anche cosa si aspetta dal futuro.
«Ci sarà un ridimensionamento delle politiche liberiste - dice Petrini - Confido in un futuro più sostenibile, in tasselli di nuova economia da non misurare necessariamente attraverso il Pil. Che senso avrebbe ricostruire tutto come prima? Ci è data l’opportunità di fare un cambio di paradigma. Di reimpostare un sistema che dia più spazio ai territori e alle comunità. Penso che le tematiche della sostenibilità e della sovranità alimentare diventeranno all’ordine del giorno».
Per il fondatore di Slow Food «Non si può più pensare che il cibo lo produce uno solo per tutti. Abbiamo rubato spazio alla campagna, bisognerà riprenderselo per mettere in moto un’economia primaria al servizio delle comunità locali».
Ma Carlo Petrini prova a immaginare anche cosa sarà delle piccole botteghe nel futuro e su La Stampa del 15 marzo 2020 spiega che «Bisogna fare uno sforzo di fantasia.Io penso a una versione moderna delle botteghe, gestite da giovani. Con l’accesso a Internet. con tutta una serie di servizi, dove magari si può ritirare la pensione. Ci vogliono nuove idee. A salvarci sarà la diversità».
Secondo uno studio della Cgia, negli ultimi dieci anni in Italia sono diminuite del 12,1 per cento (una perdita di circa 200 mila negozi di vicinato, non solo alimentari) le botteghe artigiane. Un dato allarmante se si pensa che la loro funzione non è solo di mero servizio distributivo, bensì di relazione; veri e propri presidi di fiducia del territorio e del tessuto sociale, rappresentano un’ancora di salvezza per molti paesi che così si sentono meno isolati.
La speranza di Petrini è che «quando usciremo da questo tunnel – perché ne usciremo – per far si che vada davvero tutto bene, facciamo tesoro di ciò che abbiamo sofferto per ripensare a un modello alimentare diverso».
E conclude auspicando per il futuro «Un modello che non si basi più sul semplice consumo, ma che trovi soluzioni alternative che valorizzino da un lato i beni comuni e chi li custodisce (suolo e contadini in primis), e dall’altro i beni di relazione. In questo, le botteghe di prossimità, giovani e multifunzionali, potrebbero davvero avere un ruolo determinante, e queste pagine tristi rappresentare l’occasione per quel nuovo inizio a cui tutti stavamo anelando».
Ce lo auguriamo anche noi.